ROMA – SENATO
DELLA REPUBBLICA – 16/04/2012
Sala Capitolare
presso il Chiostro del Convento di S. Maria sopra Minerva
Piazza della
Minerva 38
GRANDE
DIFFERENZA E’: NESSUNA DIFFERENZA
Con il mio
intervento “grande differenza è: nessuna differenza” intendo porre l’attenzione
sulla trasformazione dell’iniziale concetto di handicap e successivamente di
disabilità, che nel corso dell’ultimo decennio si è evoluto al punto di
convincerci dell’importanza di considerare in modo diverso la stessa idea di
barriera architettonica, perché abbiamo preso coscienza che le esigenze di
quelli che a tutti i costi si vogliono “vedere” o far passare come “diversi”,
corrispondono a quelle della generalità delle persone.
Nella società
contemporanea tutti sentiamo il bisogno di migliorare la nostra qualità di
vita, che fondamentalmente può sintetizzarsi nella conquista culturale di avere
più tempo libero, senza sentirsi discriminati per qualsiasi ragione. Per
ottenerlo è necessario avere maggiore efficienza nei servizi, nella fruibilità
e accessibilità degli spazi, nell’uso semplificato degli strumenti, in modo che
nessuno abbia ad affrontare difficoltà, registrare ritardi, con la conseguenza
di non poter svolgere alla pari con gli altri le proprie attività di vita
quotidiana.
Nel corso della
nostra esistenza a chiunque può accadere di soffrire di dolori alle
articolazioni, avere un piccolo incidente di percorso, una nascita di un
bambino o più semplicemente invecchiare e il positivo allungamento delle
aspettative di vita, non farà che
aumentare l’attuale percentuale di persone che andranno incontro a qualche
problema motorio.
Ciò vale quindi
se ci si deve spostare all’interno della città o dentro la propria abitazione,
ma anche per i servizi sociali, di assistenza e cura o in viaggio, così come
nel tempo libero.
Questo senso di
uso migliorativo dello spazio e delle cose, pensato per la vita di ognuno di
noi, mi spinse, già alla fine degli anni 90’, a cercare soluzioni efficaci e
risolutive partendo da ciò che il mercato produceva per tutti, senza
distinzioni di sorta.
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Nel 1998, nel corso dell’annuale Fiera del Mobile “MOA CASA”, realizzai un
prototipo di abitazione civile, nel rispetto degli standard urbanistici, in
collaborazione con l’arch. Fabrizio Vescovo, dove l’accessibilità era ottenuta
senza interventi speciali, fatta eccezione per un bagno di ridottissime
dimensioni molto caro all’arch. Vescovo.
Allora conoscevo
bene il mercato dei mobili perché venivo da un’esperienza ultra decennale come
arredatore e non incontrai nessuna difficoltà nel disporre e nell’individuare
arredi di produzione industriale, dimostrando che non era necessario ricorrere
a soluzioni su misura o con particolari accorgimenti, per poterne fruire
liberamente. Anzi proprio il fatto che la fruibilità degli ambienti e la
funzionalità degli arredi era pensata per agevolare il movimento, l’accesso
agli spazi interni ai mobili o semplicemente il loro uso, avvicinò tantissime
persone al problema semplicemente perché soffrivano di mal di schiena o deambulavano
facendo fatica, senza percepire, ovviamente per questo, pensioni d’invalidità.
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L’esperienza dimostrò che applicare un motorino elettrico a una tapparella,
comandato da un interruttore a parete, faceva comodo a chiunque, così come
poter rifare il letto su guide, che si estraeva e ruotava di 45°, montato a
un’altezza tale da poter avere sotto anche un piano scrivania estraibile.
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Oppure semplicemente lasciando libero lo spazio sotto al lavabo, per metterci
le gambe e pelare le patate senza stancarsi, svolgendo così le faccende anche
stando seduti.
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C'’era un mobile con ante a ghigliottina scorrevoli in senso verticale che
permetteva di avvicinarsi completamente; le porte della casa erano scorrevoli,
a scomparsa e comandate elettricamente; in un corridoio di larghezza normale
montammo un armadio, sempre con le ante scorrevoli, però sospeso, in modo da
lasciare libera la parte inferiore per ogni tipo di movimento fino a 70 cm.
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Un computer gestiva gran parte delle funzioni della casa come l’accensione del
forno, della televisione, l’apertura di porte e finestre, che potevano essere
attivate anche con comandi vocali. Era uno dei primi prototipi di domotica
asservita alla casa.
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I risultati furono lusinghieri
tranne che per il bagno speciale, ricavato in uno spazio minimo, che sebbene
fosse fatto per dimostrare che non servivano grandi superfici per fruire dei
servizi igienici, fu oggetto di accesa discussione con l’AD l’associazione
Paraplegici di Roma e del Lazio.
All’epoca non
compresi immediatamente il perché di questa presa di posizione. Nel tempo ho
capito che la ragione era da ricercare proprio nell’idea di soluzione
“speciale” fatta apposta per “me che ho un problema” e tra l’altro
obbiettivamente neanche lo risolveva.
Pensando al quel
prototipo di casa mi rendo conto di quanto sia ancora attuale, soprattutto se
si considera l’importanza dell’accessibilità fisica, visiva e tattile di un
ambiente che a differenza di allora oggi può disporre di ausili tecnologici di
gran lunga più evoluti e affidabili, anche se a volte si pensa possano essere
la panacea e invece finiscono per complicarci la vita.
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Prendiamo ad esempio il Ponte della Costituzione dell’arch. Calatrava a
Venezia, che spero non me ne vorrà. Un illustre collega che ha certamente
dimostrato tutta la sua capacità espressiva ed estetica in un ponte che The
Independent ha definito giustamente “Un
progetto squisitamente moderno“, ma che ha perso di vista la funzionalità e
la fruibilità pensando di recuperare in corsa. Non certo un buon esempio di
“Total Quality”.
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Ora premesso che la legge italiana è chiara e non si comprende come sia potuto
accadere che un ponte inaugurato nel 2008 non sia accessibile a chi ha
difficoltà motorie, senza parlare del fatto che la lunghezza dei gradini cambia
in funzione del raggio di curvatura e questo fa si che in moltissimi ogni
giorno vi cadano percorrendolo, perché giustamente sono incantati dalla
bellezza del luogo che li circonda.
Non si capisce come
nonostante le critiche al progetto siano state sollevate sin dalla fase di
approvazione, resti impossibile da percorrere per molte persone. Senza parlare
dei turisti che arrancano con le valigie su e giù, quando un sistema di rampe
avrebbe favorito tutti, evitando un investimento per un alquanto bizzarro
ascensore, un’ovovia, che è stato necessario affiancare al ponte per risolvere
la grossa falla progettuale dell’architetto spagnolo.
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Definito una meraviglia
della tecnica, unico al mondo, appunto, come dicevo: un’ovovia nascosta ai
piedi del ponte all’interno di una botola che, aperta a richiesta, lascia
salire la cabina che accoglie al suo interno la persona disabile. La botola
viene quindi sollevata da un braccio e agganciata ad un carrello scorrevole
sistemato nella parte esterna del ponte. Concluso l’attraversamento del canale,
le operazioni si ripetono partendo dall’altra sponda per consentire il percorso
al contrario. Tempi di percorrenza complessivi ipotizzati, circa 25
minuti, perché a tutt’oggi, a distanza di 4 anni dalla sua inaugurazione e
nonostante dagli iniziali 4 milioni di euro previsti per la realizzazione del
ponte, si sia arrivati ai circa 6,5 milioni di euro, ai quali si devono
aggiungere altri 2 milioni per l’ovovia, ancora non funziona. Come si fa a non pensare che, magari
sacrificando qualche cosa all’estetica, sarebbe stato più opportuno ripensare
il progetto visto che lo spazio ai lati delle teste del ponte non mancava.
Purtroppo è mancata la
giusta sensibilità da parte del progettista ma anche l’attenzione
dell’Amministrazione Pubblica che oggi scarica le proprie responsabilità e
sostiene che potendo, l’Amministrazione comunale attuale, avrebbe fatto scelte
diverse per il passaggio dei disabili. Tra Piazzale Roma e la Stazione di Santa
Lucia c’è infatti una sola fermata di vaporetto, che anche chi ha problemi
motori o è in carrozzella può agevolmente affrontare, con disagi certo
inferiori al passaggio individuale del ponte sull’ovovia, il che è tutto un
programma.
L’imperativo è
dunque quello di orientare le nuove scelte, per le opere pubbliche, per la
nuova edilizia, o nel caso di ristrutturazioni, aumentando le qualità spaziali
e d’uso, abbattendo il concetto di barriera architettonica solo in funzione di
categorie svantaggiate per guardare alle esigenze di un mondo concreto abitato
da uomini e donne, da bambini e anziani, da grassi e da magri, da alti e da
bassi, ecc. …
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Se lo stesso concetto di barriera architettonica si applicasse a tutti quegli
ostacoli che impediscono a chiunque di raggiungere obiettivi personali non per
problemi fisici, ma per qualche difficoltà nell’apprendimento, come i DSA, ecco
che l’approccio auspicabile di pensare al benessere di tutti, consente di
allargare il campo davvero a ogni aspetto della vita, primo fra tutti
l’ambiente scolastico e quello del lavoro.
L’esempio di chi
ha la caratteristica di avere “disturbi specifici dell’apprendimento”, come i
dislessici è calzante. Per risolvere le loro difficoltà, oltre a una corretta
diagnosi e una buona capacità di pazienza e di sedute logopediche, sono
sufficienti delle accortezze, come dargli più tempo o dotarli di semplici
ausili. Come un computer per scrivere,
senza doversi concentrare su come si scrive una parola e avere la mente libera
per decifrarne il significato o una calcolatrice che li agevoli nelle
operazioni matematiche (che nessuno di noi fa più a mente), senza per questo
sollevarli dall’impegno di conoscere il procedimento o le formule. Ausili che
hanno la stessa valenza degli occhiali per un miope, di un apparecchio acustico
per chi non sente, di una protesi ….
Parliamo del 5%
della popolazione studentesca italiana, 350.000 persone che spesso hanno un
quoziente d’intelligenza superiore alla media – e basta citarne qualcuno di
quelli conosciuti per averne conferma: Carlo Magno, Leonardo da Vinci, Galileo
Galilei, Hans Christian Andersen, Napoleone Bonaparte, Isaac Newton, George
Washington, Winston Churchill, Albert Einstein, Pablo Picasso, o tra i viventi
gli attori Tom Cruis e Orlando Bloom, il regista Quentin Tarantino, il cantante
Noel Gallagher, il guru dell’informatica Nicolas Negroponte e molti altri ancora. Nonostante ciò in Italia soltanto con la
Legge 170 del 2010 è stato ottenuto il riconoscimento dell'esistenza della
dislessia e di altri disturbi specifici di apprendimento stimolando la
scuola a individuarli precocemente e definendo i luoghi del percorso
diagnostico e didattico. Siamo quindi solo all'inizio di un percorso che dovrà
essere avviato con le scuole, soprattutto sul tema della formazione dei
dirigenti scolastici e le strutture del Servizio sanitario nazionale che ai
sensi dell’art. 5 dovranno adottare misure educative e d’insegnamento di
supporto come l'uso di una didattica individualizzata e personalizzata o
l'introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento
alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune
prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere.
Per esempio è previsto per l'insegnamento delle lingue straniere, l'uso di
strumenti che favoriscano la comunicazione verbale (stiamo parlando dei CD e
del registratore).
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Ecco dunque che il concetto di “differenza” tra individui, acquista una
dimensione e una consistenza diversa se si è coscienti della realtà dei fatti
ed è spontaneo chiedersi: servono soluzioni speciali, leggi speciali, alloggi
di maggiori dimensioni o emarginanti apparati tecnici, complessi e
specializzati, perché essi risultino utilizzabili da chiunque, compresi coloro
che hanno ridotta mobilità o difficoltà nell’apprendimento? La risposta è
certamente articolata ma in senso generale si può rispondere con decisione: no!
O meglio servono ma devono essere per
tutti, di uso comune.
In fin dei conti
i temi sono sempre gli stessi:
- Accessibilità;
- Raggiungibilità dei luoghi e delle attrezzature;
- Facilità e sicurezza d’uso;
- Comfort ambientale e confort psicologico;
- Estetica
ma deve cambiare
l’approccio di chi progetta e organizza, il quale per offrire una qualità
totale basta che adotti accorgimenti di buon senso, quelle che noi definiamo
buone regole. è un dovere civile lavorare insieme per l’abbattimento delle
barriere culturali, le più difficili da far cadere.
In concreto sono
molti gli ambiti in cui intervenire.
Tra gli
accorgimenti spaziali adottabili si possono considerare quelli che migliorano
l’accessibilità interna come:
- spazi di manovra di almeno 120 cm negli ambienti
pubblici e nelle abitazioni che agevolano l’uso per chi sta in carrozzina
come i neonati;
- non fare porte inferiori ai 75/80 cm per favorire
il passaggio a una persona obesa, magari
con una valigia in mano;
- abbassare la parte opaca dei parapetti di
finestre e balconi a 60 cm utilizzando materiali trasparenti per i restanti
40 cm, significa consentire la visibilità esterna a tutti coloro che sono
seduti e magari leggono un libro su una poltrona;
- lasciare uno spazio libero sotto i servizi
igienici del bagno e il piano di lavoro della cucina per garantire la
possibilità d’uso a chi si vuole truccare stando comodo, oppure, come una
volta, preparare il cibo da seduti per fare una pausa di riposo dalla
fatica dei lavori domestici;
- pensare i bagni senza che siano esasperatamente
ospedalizzati da maniglioni verticali, orizzontali e quant’altro come
l’improbabile seggiolino della doccia, eliminando semplicemente il gradino
(esistono ormai in commercio canaline di raccolta dell’acqua incassate nel
pavimento molto efficaci). Ragionare sugli spazi di manovra, riducendo al
minimo gli ausili, che possono svolgere comunque la loro funzione pur
restando porta asciugamani o altro.
Interventi che
migliorino la mobilità, per favorire la raggiungibilità dei luoghi e delle
attrezzature, come:
- scegliere pavimentazioni complanari, non
sdrucciolevoli e senza grosse fessure o distanziatori, che facilitano il
cammino di molte persone e agevolano le signore con i tacchi a spillo;
- eliminare i marciapiedi, delimitando il percorso
con colonnine metalliche disposte a 1,5 metri di distanza in modo, che
illuminino il percorso e impediscano alle automobili di parcheggiarci in
mezzo, ostruendo il passaggio, risolvendo il problema dell’assenza delle
rampe, spesso troppo ripide, sconnesse, o occluse dalle auto, …;
- dotare di ascensori, di sollevatori oleodinamici,
ogni tipo di scala pubblica o privata in sostituzione delle pedane mobili
che ogni volta che servono, oltre a mortificare chi ne deve fare uso, o
sono rotte, o manca la chiave o non si sa chi la custodisce ….
- realizzare nei parchi, nei giardini pubblici, sui
percorsi ciclo-pedonali come la Via Francigena, di cui curo da qualche
anno il tratto a sud di Roma, tracciati in materiali auto compattanti in
modo da renderli più resistenti e complanari, così chiunque ci può
spingere una carrozzina, correre, o semplicemente camminare senza
inciampare nel brecciolino.
Oppure piccole
attenzioni atte a migliorare la facilità d’utilizzo di oggetti d’uso quotidiano
e la sicurezza come:
- costruire soltanto stampelle a gancio, magari
dotate di asta per la presa dal basso;
- evitare la rubinetteria a becco sul bidet che
impone la posizione frontale, usando sistemi di ingresso dell’acqua
direttamente dall’interno;
- adottare un doppio mancorrente a 70 e 90 cm per
scale, rampe e altri tipi di percorso che significa gratificare i più
piccoli di statura e d’età.
Per il confort
ambientale sarà opportuno:
- curare la qualità della luce naturale e
artificiale, nonché i contrasti cromatici che significa mettere tutti in
condizione di non affaticare la vista;
- studiare gli affacci, la distribuzione interna,
l’isolamento acustico e quello termico, l’areazione di una casa con il
risultato di progettare un ambiente sano.
Per il confort
psicologico migliorare l’apprendimento e rendere più moderna l’istruzione in
vista dell’ingresso nel modo del lavoro:
- dotare tutte le classi di un computer a testa su
cui studiare e fare ricerche, che oltre a non far sentire diversi i DSA,
farebbe comodo e certamente renderebbe più fruttuoso il lavoro degli
insegnanti e di tutti gli studenti ormai fortemente avvezzi a questi
mezzi;
- analogamente permettere la lettura dei libri dai
CD che le case editrici per la scuola ormai, da quest’anno, sono obbligate
ad allegare al volume cartaceo;
- ma siccome in molte scuole non è possibile usare
il computer perché non c'è la presa della corrente disponibile, e mettere
un filo volante diventa pericoloso per la sicurezza dei ragazzi, bisogna
iniziare con il predisporre impianti elettrici con più prese lungo almeno
tre lati dell’aula.
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Insomma niente di straordinario, solo buon senso e questo non necessariamente a
scapito dell’estetica, anzi proprio partendo da questa visione di qualità è
auspicabile che il design possa trovare un linguaggio innovativo, con materiali
e soluzioni diverse.
Concludo
affermando che se è ipotizzabile la funzione di un Manager per la Total Quality
questa dovrà mirare a scelte e iniziative che conducano a “progettare” tutto
quello che ci circonda non caso per caso, ma secondo il criterio guida che
nessuno dovrà incontrare difficoltà in ogni momento e per qualunque uso o
servizio: se sarà assolta questa condizione chiunque, anche chi ha
disabilità permanenti o semplicemente temporanee, più o meno gravi, vedrà ogni
difficoltà automaticamente risolta e percepirà migliorata la sua qualità di
vita e soprattutto avremo una società senza esclusi.
Paolo Walter Di
Paola Arch.